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Il Trattato di Schengen e l’egoismo dell’Europa

La disamina della normativa comunitaria

Marzo 24, 2018
in Dossier
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Il Trattato di Schengen e l’egoismo dell’Europa
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Degli eventi più drammatici a livello internazionale ha assunto particolare rilevanza la migrazione di popolazione da paesi con scenari di guerra o povertà, in proporzioni da esodo biblico e che condizionano negativamente non solo la politica europea in materia, ma rischiano di produrre lo sgretolamento della stessa Unione Europea. Per capire appieno le conseguenze che tale situazione può generare è necessario esaminare brevemente la normativa comunitaria più importante in oggetto, vale a dire l’Accordo e la Convenzione di Schengen e il Codice omonimo. Con l’Accordo si identifica il trattato stipulato nel giugno del 1985 nella cittadina omonima in Lussemburgo tra Germania, Francia e Stati dell’Unione Economica del Benelux (oltre quelli citati anche Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) con il quale ci si prefiggeva di creare un regime di libera circolazione dei cittadini e delle merci degli Stati firmatari, esteso agli altri Stati membri della Comunità Europea e ad altri Stati terzi, eliminando i controlli alle frontiere delle persone itineranti e del transito delle merci. La Convenzione di attuazione dell’Accordo integra lo stesso, definendo le condizioni di attuazione della libera circolazione e le garanzie previste, firmata nel 1990 ed entrata in vigore con colpevole ritardo solo nel 1995. La normativa contenuta nell’Accordo e nella Convenzione costituisce, nel suo complesso, il c.d. “‘Acquis di Schengen”, che in virtù di un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam del 1997 è divenuto parte integrante del corpus giuridico dell’Unione Europea. L’Italia ha aderito a tali atti nel 1990. Dal 1999 gli Stati che entrano a far parte dell’Unione Europea sono obbligati a recepire la normativa dell’Acquis di Schengen, per quanto la sua applicazione sia graduale in considerazione del rispetto, da parte degli Stati, di precisi requisiti tecnici e normativi. Oltre alla finalità originaria di garantire la libera circolazione delle persone e delle merci eliminando le frontiere “interne” tra gli Stati membri, tale corpus normativo ha implementato altri scopi, come il rafforzamento dei controlli alle frontiere “esterne” della Zona o Area Schengen (cioè il confine che delimita l’insieme dei territori degli Stati dell’Unione), il coordinamento dei vari Stati e dei singoli corpi di polizia nella lotta alla criminalità organizzata internazionale (contro ad es. mafia, camorra, traffici di droga e di armi, immigrazione clandestina), la collaborazione tra le varie forze dell’ordine con possibilità di intervento oltre i confini nazionali (per espletare indagini, rintracciare e perseguire criminali) e da ultimo l’integrazione delle varie banche dati, in particolare delle forze dell’ordine, il c.d. S.I.S. (Sistema di Informazione Schengen). Il Codice Schengen, introdotto a seguito del Regolamento C.E. n. 562 del 15/03/2006, rielabora e riassume la normativa precedente e si applica a chiunque attraversi le “frontiere esterne” dei paesi dell’U.E., esclusi Regno Unito e Irlanda, e le ex frontiere interne della Zona Schengen.

Quando un cittadino dell’U.E. attraversa una frontiera esterna è sottoposto a controlli minimi: l’accertamento della sua identità attraverso il controllo del suo documento e della sua validità, anche attraverso banche dati, per verificare eventuali falsificazioni, perdite, furti, annullamenti. I cittadini di paesi terzi invece sono sottoposti a verifiche approfondite delle condizioni di ingresso, inclusa la verifica nel Sistema di Informazione Visti (VIS). Per un soggiorno non superiore a novanta giorni, nel periodo di sei mesi, i cittadini di paesi terzi devono essere in possesso dei seguenti requisiti: 1) di un valido documento di viaggio; 2) di un visto valido se richiesto; 3) giustificare lo scopo del soggiorno previsto e disporre di mezzi di sussistenza; 4) non essere inclusi nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS) ai fini della non ammissione; 5) non rappresentare una minaccia per l’ordine, la sicurezza e la salute pubblica interna e le relazioni internazionali dei paesi dell’U.E. Vengono respinti dal territorio quei cittadini di Stati terzi che non soddisfano tutte le suddette condizioni, fatte salve disposizioni particolari (es. quelle che attengono a ragioni umanitarie). La persona respinta ha diritto di appello e di ricevere informazioni scritte sulle procedure. Sui documenti di viaggio viene apposto un timbro contestualmente all’ingresso e all’uscita dal paese. In mancanza si presume che la persona non possieda o abbia cessato di possedere i requisiti per il soggiorno, tuttavia potrà fornire, con qualunque mezzo, prove attendibili (es. biglietti di viaggio) che dimostrino il rispetto delle condizioni relative ad un soggiorno breve.

Gli articoli da 23 a 26 del Codice Schengen prevedono la reintroduzione temporanea di controlli alle frontiere interne nel caso di serie minacce alla sicurezza e all’ordine pubblico, previa notifica agli altri Stati membri e agli organi competenti dell’Unione come la Commissione. Tali controlli hanno natura eccezionale e durata massima di sei mesi. Tuttavia, qualora le circostanze eccezionali rappresentino una grave minaccia alla sicurezza e alla politica interna della Zona S. o a parte di essa, il controllo alle frontiere può essere esteso fino ad un massimo di due anni. E’ quanto è avvenuto nei paesi dell’Unione a seguito della massiccia immigrazione di popolazione che ha interessato il confine est della Zona, vale a dire quella investita dalla c.d. rotta balcanica dei rifugiati che da oriente (Siria, Afganistan, Iraq) attraverso la Turchia, Grecia, Macedonia, e paesi slavi arrivano in Austria, Germania e altri Stati dell’Unione, nonché via mare in Italia (per i migranti dai paesi nordafricani e subsahariani) e Grecia. La paura di essere invasi ha già determinato paesi come la Germania, la Svezia (che in precedenza si erano dimostrate generose nell’accoglienza), l’Austria, l’Inghilterra (che non ha mai aderito ai Trattati Schengen), la Polonia, l’Ungheria (che ha nientemeno costruito un muro di filo spinato al confine tra Serbia e Romania), la Slovenia, la Romania ed altri, a ripristinare le frontiere interne e i controlli. La ragione di tali opportunistiche scelte è la presunta incapacità degli Stati prossimi alle frontiere esterne della Zona, tra cui Italia e Grecia, di gestire il flusso di migranti che entrano nell’Area comune e la paura del terrorismo internazionale che ha colpito alcuni paesi europei come la Francia. La presa di posizione di tali paesi denota la mancanza di concertazione nell’affrontare il problema, ma soprattutto che il concetto di Unione Europea esiste solo sulla carta a tutela di interessi economici, mentre è assente una identità politica che accomuni i vari Stati e condizioni le loro scelte in altri settori non economici (fatta eccezione per la lotta alla criminalità e al terrorismo). Questo perché non si è mai creata (volutamente?) una federazione fra Stati sul modello statunitense. Ogni Stato non rinunciando alla sua sovranità è riluttante ad accettare decisioni e normative prese al di fuori del Parlamento nazionale. La normativa Schengen è di estrema importanza perché rappresenta un cambiamento di rotta su cui, nel corso degli anni, con la caduta delle frontiere, si è costruito un comune senso di appartenenza. La possibilità di muoversi liberamente, di lavorare e studiare in uno qualunque dei paesi dell’Unione è la conquista più importante che gli Stati e i popoli della Comunità hanno conseguito. Con la sua sospensione e il ripristino delle frontiere, si ritorna indietro “alle cortine di ferro”, così come Winston Churchill le definì. La soluzione non è, come vorrebbero alcuni governi, chiudersi nei propri confini e consentire l’ingresso solo ai rifugiati per motivi di guerra escludendo i migranti per motivi economici. Vi è forse differenza tra chi fugge per non morire per le bombe e chi fugge per non morire di fame o malattia? La distinzione è solo opportunisticamente politica. Così come è opportunistico scaricare su Italia, Grecia e Turchia la responsabilità di non adoperarsi a sufficienza per limitare il fenomeno. Alcuni Stati dell’Est dell’Unione hanno persino egoisticamente e illegittimamente deliberato di non accettare più quote di migranti, cosi’ come è stato previsto in un documento della Commissione Europea del 2015.

Gli Stati fautori di tali scelte non si illudano, chi è disperato perché ha davanti l’unica opzione se vivere o morire non si ferma davanti al filo spinato o ai muri. In una comunità i problemi sociali si affrontano e si risolvono cercando il più ampio consenso, non isolandosi sulle proprie convinzioni. E che dire della solidarietà e dello spirito cristiano su cui l’Unione Europea è anche stata fondata? Sembrano morti e sepolti a fronte degli interessi nazionalistici. Tali politiche miopi non considerano che i migranti, se costituiscono un problema, se ben gestiti, possono anche rappresentare una risorsa. Per esempio molti di loro svolgono lavori umili che gli indigeni hanno abbandonato o che non hanno propensione a svolgere. Se inseriti nel tessuto sociale potrebbero contribuire ad innalzare il Pil e aumentare le entrate erariali con la loro contribuzione, senza contare che probabilmente si abbatterebbe il calo delle nascite. Purtroppo i recenti episodi di criminalità che vedono coinvolti alcuni di costoro fanno emergere in molti di noi la paura dello straniero, del “nero”, del “diverso”, suscitando giudizi negativi e populistici e reazioni isteriche dettate dalle circostanze del momento, che portano ad emarginare ed escludere dalla società una buona parte di coloro che giungono in Europa nella speranza di vivere una vita migliore con le migliori intenzioni. Certamente il peso dell’accoglienza non può gravare solo su alcuni Stati dell’Unione come il nostro. La soluzione al problema, come suggerito dai politici più avveduti, è quella di ripartire fra tutti gli Stati dell’Unione quote di migranti che invece tendono a raggiungere e a stabilirsi solo in alcuni Stati più ricchi come la Germania, la Francia, la Svezia e sanzionare e penalizzare quegli Stati che non accettano quote di migranti. Di certo rinchiudersi nei propri confini sulla base di spinte nazionalistiche non risolverà il problema. Tutti gli Stati e i governi devono prendere coscienza che il fenomeno migratorio non potrà fermarsi se non cesseranno le cause che lo determinano nei paesi di origine. E’ in quei paesi che le Istituzioni europee e internazionali devono agire per ridurre conflitti e miseria, ma questo richiederà comunione di intenti, notevole tempo e ingenti risorse economiche. Nel frattempo sembra che il nazionalismo e l’egoismo abbiano la prevalenza.
Roberto Felice Coppola – avvocato civilista-tributarista

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