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D come Donna, D come Dignità

Un cammino nella Bellezza

Marzo 16, 2018
in Le lettere di Agata Pinnelli
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D come Donna, D come Dignità
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Siamo nel 70° Anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione, sigillo della nascita della Repubblica italiana, pertanto, continuare a discriminare la dignità delle donne è un segno di arretratezza morale, civile e politica, in quanto pur essendovi il riconoscimento giuridico delle pari opportunità fra uomo e donna, nel quotidiano dell’ambito domestico e professionale continuano le discriminazioni, che non solo offendono la dignità della persona, ma con il persistere degli ostacoli pregiudizievoli ad una reale parità tra uomo e donna, si nega la possibilità di una libera autorealizzazione, che favorisca lo sviluppo di quei talenti unici e necessari alla crescita di una società civile, al progresso, al benessere di ogni cittadino.Discriminare le donne nella storia, nel lavoro, nell’economia, nella scienza, nella cultura significa non poter spiccare il volo ad esplorare nuovi orizzonti, che consentano ad ogni società di mettersi in gioco per capire e gestire la complessità che i livelli tecnologici, scientifici pongono come sfide.

Le donne sono preziose, il loro DNA le pone sempre alla ricerca di nuovi cieli, di nuove battaglie per promuovere garanzie ed opportunità per sé e per tutti non solo, ma capaci di adoperarsi per prevenire, procedere e riproporsi in modo creativo e funzionale di fronte alle sfide che la società man mano pone di fronte a tutti. Si dice che la “donna è mobile“, proprio così, nel senso di spirito innovativo nell’affrontare le complessità e nell’adempiere alle necessità della vita. Infatti esse sono un “dono prezioso“, insopprimibile, “patrimonio dell’umanità“, come lo dimostrano le prime donne combattenti del Risorgimento, della Resistenza e della Repubblica. Eventi che le hanno fatto uscire dalle case e dal percorso di vita, privato e marginale, assegnato loro dalle famiglie, per porle al centro nello spazio pubblico. Per la prima volta nella nostra storia le donne si sono sentite “cittadine“. E non si risparmiarono di esprimere il loro dissenso sulla umiliante esclusione da tutto ciò che si attiene al governo della “cosa pubblica“, ritenendo fondamentale riconoscere ogni diritto politico alla parte più viva e influente dell’umano consorzio. Infatti le nostre Madri costituenti lo hanno dimostrato nel creare e completare degli articoli che potessero fare la “differenza” dallo scontato generico.

“Donna italiana, amo la patria mia“. Brevi e semplici parole, pronunciate dalla salentina Antonietta De Pace, testimoniano con fierezza la sua identità di “patriota” nel contesto risorgimentale, emblematica per la rottura che la sua vita ha rappresentato nel modo di concepire la condizione della donna nella 2a metà dell’ottocento, per la tenacia con cui si è battuta per portare avanti i propri ideali, per la determinazione con cui ha lottato per consentire a tutte le donne la possibilità di un’istruzione che le rendesse padrone del proprio destino, convinta che l’istruzione fosse un patrimonio di tutti. Aveva a cuore l’educazione e dei ragazzi e dei giovani. “Noi abbiamo fatto l’Italia. Voi dovete conservarla, lavorando a farla grande e prospera” – ripeteva spesso loro -. […]Tra i partigiani vi era una donna, sui venticinque anni, alla quale non furono risparmiati i maltrattamenti, anzi la dose delle angherie, direi, sia stata nei suoi confronti maggiore […] “Su coraggio, ragazzi, è giunto il plotone di esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio morire da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi”.

[…] “Se percuotendomi volete mortificare il mio corpo è superfluo il farlo; esso è già annientato. Se invece volete uccidere il mio spirito, vi dico che la vostra è opera vana: quello non lo domerete mai! Ragazzi, – rivolta ai compagni – viva l’Italia, viva la libertà per tutti” – gridò con voce squillante. Come lei morirono sotto le raffiche delle mitragliatrici i suoi compagni, tra i quali se ne salvò uno, Carlo Suzzi. “Bisognava vedere il coraggio di questa ragazza!” Racconta che durante il percorso ripeteva a tutti “Mostriamo a questi signori come noi sappiamo morire“. Cleonice Tomassetti. Non era una maestra di scuola, non era una staffetta, non aveva un marito fra i partigiani. Non fece neppure in tempo a combattere la guerra di liberazione. Era una donna, che aveva sofferto molto, aveva fatto la propria scelta spontaneamente, facendo della sua vita un dono di Dignità all’Italia, a tutte le donne contemporanee e future, andando incontro a una morte orribile con compostezza dignitosa, per il sogno di una libertà e uguaglianza spendibile nella vita di ogni giorno.

[…] “Ardisco pensare di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane. Credo proprio di poter interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto e ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale […] Noi donne che siamo temprate a superare il dolore e il male con la nostra operosità e con la nostra pietà, siamo fiere di essere in prima linea nell’opera di resurrezione a favore del popolo nostro […] La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue, ha avuto un movente eminentemente morale, poiché la malavita politica che faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella malavita privata. Per la stessa dignità di donne noi siamo contro la tirannide di ieri come contro qualunque possibile ritorno ad una tirannide di domani.

Non so se risponda a verità la definizione che della donna militante è stata data: la donna è un istinto in marcia. Ma anche se così fosse, è l’istinto che ci fa essere tutrici della pace. È anzitutto pace serena delle coscienze [da cui] deriva la pace feconda delle famiglie, infine pace operosa del lavoro. Questa triplice finalità della pace, l’Italia di domani la raggiungerà se noi sapremo essere l’anima, la poesia, la sorgente della vita nuova del risorto popolo italiano.” Parole appassionate della Madre costituente Angela Cingolani Guidi all’Assemblea plenaria della Consulta Nazionale, del 11045 a Palazzo Montecitorio.È in queste esperienze di lotta per l’unità, per la libertà prima, di costruzione dell’Italia repubblicana poi, che si innesta il “testamento” che ha orientato il cammino delle ventuno nostre Madri costituenti e di tutte le donne di ieri e di oggi sulla strada della democrazia e della concreta parità di genere, per far risplendere un’umanità più libera perché più fedele, più giusta perché più rispettosa, più comprensiva perché più umana.

“Le donne, più che mai nel settantesimo compleanno della Costituzione, possono essere riconosciute come le artefici della Repubblica ed artefici del suo divenire“. – afferma Mattarella, il presidente della Repubblica, non solo, ma anche il tessuto legislativo delle nostre istituzioni non avrebbe avuto la stessa consistenza senza il contributo creativo, originale, fondativo delle donne italiane. Infatti la piena partecipazione delle donne alla vita politica con il voto del 46 ha reso credibile e possibile il progetto delle pari opportunità che le ventuno Madri costituenti hanno elaborato passo dopo passo non solo sul piano legislativo, ma anche sul piano operativo con continue attenzioni ed emendamenti, prefigurando quello che sarebbe stato il ruolo che oggi le donne hanno nella società e nelle istituzioni, ruolo che non sarebbe stato possibile senza il substrato costituzionale che le Madri costituenti hanno voluto che fossero inseriti nella Carta fondamentale dello Stato.

Si deve a Marisa Merlin l’inserimento nell’art. 3 dell’espressione “di sesso” che esplicita il divieto di discriminazione di genere. Si deve a Teresa Mattei, l’introduzione nel medesimo articolo del riferimento alle situazioni di fatto che rendono diverso per ogni soggetto il cammino verso condizioni di effettiva parità. Si devono a loro gli attuali testi che stabiliscono l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (Maria Maddalena Rossi art. 29); che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti che spettano al lavoratore e che le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna nonché la parità per l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 37 e 51 Maria Federici).

Gli auspici che le Madri costituenti hanno formulato nei loro interventi sul tessuto costituzionale rappresentano l’emblema dell’inizio dell’emancipazione delle donne, creature non più mute, sottoposte ad un servizio silenzioso, ma esplodono come creature pensanti, dotate di libero pensiero, finalmente riconosciuto come diritto etico, intrinseco nella persona; nello stesso tempo costituiscono l’imperativo ad affrontare con pari impegno i nodi irrisolti ancora attuali con la stessa tensione morale, nodi che non sono più di esclusivo appannaggio maschile o femminile e questo dovrebbe bastare per capire ed essere fieri del lavoro compiuto dalle Madri costituenti nella nuova assemblea eletta, come una sparuta minoranza.

Tutto è stato messo in evidenza dalla sensibilità femminile, coniugata alla originalità con cui le donne hanno dimostrato di capire e di fare le cose; hanno messo, in luce, da una parte “parità” nelle opportunità, nei diritti, nei doveri, ma “differenza” nelle capacità, nel modo di fare le cose; una “risorsa” di inestimabile valore che non è la capacità di essere in grado di fare quello che fanno gli uomini (ci sono donne astronaute, pugili, soldato …) ma che lo fanno in modo originale, con un loro stile, manifestando una qualità peculiare e non imitando gli uomini. Ecco perché il concetto di “parità” va oltre, include il concetto di “differenza“, escludendo la dicotomia “peggiori – migliori“. Perciò parità nei diritti, nelle opportunità, nei doveri, ma differenza nelle competenze, nelle capacità, nel modo di fare le cose. Questa consapevolezza non è stata ancora metabolizzata contrariamente alla legislazione sulle pari opportunità che è giunta fino al punto di creare un apposito ministero delle Pari Opportunità, per far sì che si acceleri la piena realizzazione, dal momento che la realtà fatica a rendere pienamente operativo questo diritto.

Il cammino di parità, svoltosi per l’impegno costituzionale non può dirsi compiuto, dato che i femminicidi, le molestie, le violenze fisiche, morali, nell’ambito professionale e domestico continuano a consumarsi ai danni della donna, inconcepibili e ingiustificabili in una società come la nostra, basata sulla “forza del diritto” e non sul diritto della forza. Sempre più spesso le violenze avvengono per le difficoltà di elaborare la “frustrazione” attraverso altre modalità che il nostro essere “pensante” è capace di mettere in atto per sconfiggere quegli stereotipi atavici dell’affronto, dell’orgoglio, dell’amor proprio che spesso un uomo non riesce a metabolizzare con un percorso alternativo, a causa di una eredità culturale ancestrale. Sul piano legislativo oggi c’è una maggiore attenzione, perché la violenza in uno stato di diritto non è concepibile. Ogni donna ha il diritto di prendere in mano la propria vita, la libertà di autodeterminarsi, libera da qualsiasi ossessione di paura, di insicurezza che la porti a subire le azioni degli altri. Perciò l’otto marzo non è una ricorrenza retorica, ma – “è un giorno di impegno comune” – dice il presidente della Repubblica Mattarella – per fecondare una coscienza nuova della storia collettiva in cui uomini e donne si riconoscano, compiendo una lotta di liberazione della memoria da un oblio persistente, per riportare nel patrimonio storico-culturale comune le tante donne che si sono distinte e si distinguono in ogni campo, senza escludere la “quotidianità” altrettanto operosa, in modo che le nuove generazioni possano confrontarsi e inebriarsi del profumo della dignità che non ha distinzione di genere. È il profumo della Umanità.
Agata Pinnelli

Donna
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
In piedi, Signori, davanti a una Donna.

William Shakespeare

 

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