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Mio nome Marinela…

Un racconto di Nunzio Di Giulio

Novembre 27, 2016
in Storia e dintorni
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Mio nome Marinela...
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Il termine “Femminicidio” nella sua accezione più ampia è qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna perché donna che nella quasi totalità dei casi esplode brutalmente da parte dell’aggressore che ha già rivolto la sua violenza contro quella o altre donne, in molte altre forme. Per esempio, un marito che uccide la moglie quasi sempre la ha vessata per anni, e spesso un ex che uccide “per gelosia” ha già tormentato, controllato, ossessivamente perseguitato una donna che cercava di sfuggirgli. Le statistiche riportano che negli ultimi 10 anni le donne uccise in Italia sono state 1.740: 1.251 (il 71,9%) in famiglia, e 846 di queste (il 67,6%) all’interno della coppia; 224 (il 26,5%) per mano di un ex. Nel 2016 sono stati registrati già 116 femminicidi di cui il 53,4% (62 donne uccise nel nord Italia ) e il 75,9% in ambito familiare. Al sud il dato scende a quota 31 (26,7%), al centro a 23 (19,8%). L’età media delle vittime è di 50,8 anni, gli uomini sono il 92,5% dei killer. Su una storia di violenza sulle donne si è cimentato il canosino Nunzio Di Giulio proponendo “Mio nome Marinela”, personaggio frutto della fantasia dell’autore, prendendo spunto da una fatto di cronaca realmente accaduto. Nunzio Di Giulio, Ispettore Capo della Digos in quiescenza, scrittore per hobby, autore di componimenti letterari come: “Nina vuole volare”, “Diana & Gamin” e “Mirta”, che hanno catturato l’attenzione dei lettori per le trame narrate, davvero coinvolgenti ed appassionanti, con molti colpi di scena e rivelazioni che ne fanno una lettura veloce e scorrevole. In occasione della Giornata Internazionale della Violenza contro le Donne, il racconto in tema “Mio nome Marinela”, una ragazza come tante, che fugge insieme alla propria famiglia da una realtà che non le appartiene, e cerca un futuro migliore per sé e per i suoi cari. Una voglia piena di pochi averi, ma di tanti sogni e speranze che un giorno, purtroppo, si scontreranno con la crudeltà della realtà quotidiana.

Il racconto di Nunzio Di Giulio “Mio nome Marinela” :

L’ultima volta che la vidi fu la mattina antecedente al suo appuntamento con la morte, nei pressi di un viadotto sterrato di campagna, variopinto di fiori, dell’ex S.S. 98, poco lontano dall’antica e nota Masseria “Le Torri”. Marinela, questo il suo nome, era giunta in Italia dalla Romania, unitamente ai suoi genitori, inseguendo un sogno: una vita migliore. E il sogno rimarrà tale poiché qui vi troverà una fine orrenda: la morte. Marinela era una delle tante ragazze che si trasferivano in Italia per ‘cercare fortuna’. Ragazze in fuga dalla povertà e dalle umiliazioni, alla ricerca di diritti e dignità. La maggior parte di loro trova lavoro come badanti o come domestiche. Molte, purtroppo, diventano prostitute. Tutte sognano un riscatto sociale; poche, in verità, riescono a ottenerlo. Marinela riuscì a trovare una modesta abitazione in un piccolo borgo della Daunia, dove si trasferì con i suoi genitori. Si mise subito in cerca di lavoro, uno qualsiasi, pur di poter vivere con dignità in Italia. Cercò lavoro ovunque, presso famiglie, aziende agricole e commerciali ma niente da fare, i giorni passavano e i pochi soldi portati dal suo paese finirono. La famiglia si trovò subito ad affrontare molte difficoltà, prima su tutte il pericolo dello sfratto dalla piccola casa in cui vivevano, non potendo pagare il canone mensile di fitto. Era disperata Marinela; l’Italia le piaceva molto, voleva restarci a tutti i costi, sicuramente in compagnia della propria famiglia.Aveva 22 anni, bellissima, vivace, esuberante, occhi lucenti penetranti, capelli neri ondulati e folti: per strada non passava inosservata.

Un mattino, durante il suo girovagare in cerca di lavoro, entrò in un bar di Cerignola, chiese al proprietario di lavorare, e ottenne l’ennesimo rifiuto. In quel bar, sedute a un tavolino, vi erano delle ragazze dell’est, prostitute, che consumavano la colazione. Notarono Marinela, la invitarono a sedersi al tavolino con loro, le offrirono la colazione, e Marinela chiese loro aiuto. Le ragazze le spiegarono che tipo di lavoro svolgevano, e le assicurarono che con la sua bellezza non avrebbe trovato difficoltà a guadagnare molti soldi. Marinela, disperata, seguì le ragazze: fu il primo giorno di quel maledetto ‘lavoro’. Tornata a casa, rassicurò i suoi genitori, dicendo loro di aver trovato lavoro presso un’azienda agricola per la trasformazione dei carciofini, e che quindi non dovevano preoccuparsi. Al mattino salutava i suoi genitori e andava a lavorare; con la corriera raggiungeva Cerignola dove, presso il solito bar, incontrava le colleghe di ‘lavoro’. Dopo aver consumato la colazione, s’incamminava verso l’incrocio dell’ex S.S. 98 ove, con facilità, fermava automobilisti che la trasportavano sul posto di ‘lavoro’. Marinela si era creata un mondo tutto suo, all’ingresso di un ‘tratturo’ ai bordi della strada ex S.S. 98, poco lontano dall’antica masseria “Le Torri”, ove vivono molte specie animali. Si sedeva su un muretto a secco, posto a margine della carreggiata, si cambiava, indossando scarpe da ginnastica, una minigonna, perizoma, e metteva in mostra il suo bel corpo.

Cominciava a passeggiare lungo la strada, si muoveva con eleganza fissando gli automobilisti e accennando loro un saluto. Molti di loro si fermavano, chiedevano il suo nome, e lei rispondeva: «mio nome Marinela». «quanto prendi?», chiedevano i clienti. «Venti euro». Saliva a bordo dell’auto, indicava al suo cliente il posto dove fermarsi per consumare il veloce rapporto, e a conclusione di ciò, tornava al muretto. Dopo pochi giorni, Marinela divenne famosa nella zona, ogni giorno una gran folla di uomini con voracità la possedevano. Marinela non diceva mai di no, accontentava tutti, con il suo essere impudico intimidiva anche gli uomini più virili. Incontrava, in un’ora di lavoro, un numero di uomini che altre sue colleghe che si prostituivano non lontane da lei incontravano in più giorni. Vincenzo, la Guardia campestre della zona, si affannava inutilmente a farla allontanare, perché i proprietari terrieri si lamentavano del via vai di gente. Guadagnava parecchio Marinela verso sera si rivestiva all’ultimo cliente chiedeva di farsi accompagnare a Cerignola per riprendere la corriera e raggiungere casa. Nelle prime ore di un pomeriggio assolato, mentre consumava un panino sul posto di lavoro, due balordi a bordo di una motocicletta si avventarono su di lei picchiandola selvaggiamente e rapinandola dei suoi guadagni. Fu inutile la denuncia contro ignoti presentata presso le forze dell’ordine. Era prudente Marinela, il pericolo era sempre in agguato, come avere una pistola puntata alla testa. La sua delicata e perversa bellezza, aveva fatto sì che molti avventori s’innamorassero di lei tanto da suscitare invidia e gelosia tra le sue colleghe. Marinela aveva avuto molte proposte di matrimonio, tutte respinte per vergogna, e con i molti soldi accumulati in pochi mesi aveva acquistato casa nel suo paese d’origine.

Una mattina un avventore, a bordo di una grossa auto scura, colpito dalla splendida nuvola di capelli neri che incorniciavano il suo il viso si fermò, abbassò il finestrino dell’auto e le chiese: Posso farle compagnia? Facciamo un giro in macchina?» – «Con piacere», rispose lei alzandosi. Entrò in macchina con lo sguardo pieno di curiosità, capì subito che l’uomo di mezza età, elegante, distinto, era diverso dagli altri. L’uomo le fece omaggio di una rosa rossa, volle sentire la sua storia, rimase molto colpito, poi la riaccompagnò sul posto e fu molto comprensivo e generoso con lei. Da quel momento l’uomo non pensò ad altro, a giorni alterni andava da Marinela, offrendole sempre una rosa rossa. I giorni trascorrevano abbastanza tranquilli per Marinela, sebbene ogni tanto qualche avventore le desse fastidio. Era un pomeriggio di fine agosto, in cielo chiare nuvole. Marinela era vestita di bianco, aveva una collana di perle, calzava zoccoli neri, aspettava ancora gli ultimi clienti per poi farsi riaccompagnare a Cerignola, per il ritorno a casa. Guardava affascinata i colori dei fiori di campagna che ornavano il tratturo, le rondini che svolazzavano da un albero all’altro, sentiva il vivace rumoreggiare degli animali della masseria, il vecchio cane Richi che ogni tanto le faceva compagnia, avvertiva qualcosa; stranamente non rientrava alla masseria, guaiva terrorizzato, appariva e spariva come un folletto nei ‘tratturi’ vicini, fino a sdraiarsi non lontano da Marinela.

All’improvviso l’atrocità! La natura fu invasa da vane urla disperate di aiuto! Marinela veniva assassinata in pochi minuti, il corpo rinchiuso nel bagaglio di un’auto e portato via; rivoli di sangue scorrevano lungo il ‘tratturo’ e per terra giaceva il suo vestito stracciato. La natura, unica testimone del cruento fatto, traumatizzata si fermò; gli animali della masseria “Le Torri” zittiti! E su quell’orrore, anche quella sera, il tramonto accese di splendidi bagliori un cielo infinitamente lontano. Poi scese il buio. E fu silenzio. L’assassino sparito. Il giorno dopo, di prima mattina, una collega di Marinela non vedendola arrivare, si recò presso il muretto, notando una chiazza di sangue e un vestito bianco strappato. Con la paura negli occhi, per l’immagine di ciò che poteva esser capitato, avvertì subito i Carabinieri. Marinela, 22 anni, fu trovata il giorno stesso, seminuda, da un pescatore in un canale alla periferia di una città di mare poco lontana da Cerignola; tutto il corpo straziato da sette ferite inferte con inaudita violenza da un’arma da taglio. Marinella aveva cercato una disperata difesa; aveva ferite anche sulle mani.

I poveri genitori strinsero il corpo straziato della loro meravigliosa creatura. La raccapricciante scoperta del cadavere di Marinela, fu scioccante per le sue colleghe; molte, infatti, scapparono via da Cerignola. Il caso, particolarmente cruento e misterioso, appassionò la stampa. Sul luogo del martirio i fiori di campo ricominciavano a germogliare dopo essere stati bruscamente pestati. Ripresero le rondini a volteggiare e a rumoreggiare dopo le grida strazianti che le avevano ammutolite. Il vento ricominciò a soffiare leggermente, e le nuvole a disegnare immagini fantastiche. Le formiche e tutti gli animaletti, fuggiti da quel luogo, si riunirono nuovamente. Le gazze erano agitate; guardavano quel lago di sangue, poi volavano su alberi di ulivi. Le farfalle volavano via lontano. Gli animali dell’antica masseria “Le Torri” si ricomposero, i cani zittiti ricominciarono ad abbaiare. Le oche e le galline a beccare le piantine. La cavalla Creola, e suo figlio Ruby, cacciavano via dalle orecchie quelle strane grida, le loro folte criniere che si erano scapigliate si ricomposero. I gatti tornarono ad azzuffarsi. Il tintinnio delle campanelle al collo delle caprette ricominciò a suonare. I colombi, dopo aver succhiato l’acqua, fecero rientro nella colombaia. Michele, il contadino della masseria “Le Torri”, ignaro, carezzava Creola e Ruby offrendo loro golosi carrube. La natura ricominciò il suo decorso. Il povero vecchio Richi fu trovato poco lontano con il muso nascosto fra le zampe, era morto, forse di crepacuore. Arrivederci caro Richi, vissuto tanto tempo all’ombra della masseria “Le Torri”. La guardia campestre Vincenzo e i contadini non passano più da quel tratturo per loro evoca immagini angosciose. Accanto al muretto di Marinela, ignoti posano fiori e ceri sempre accesi, qualcuno grida Marinela arrivederci in cielo. Il suo feroce sterminatore non ha ancora un nome.

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